venerdì 24 luglio 2009

L'ultima volta [14ª PARTE]

Il Macellaio tirò fuori la pistola.
«Che scherzo è questo?»
«Non è uno scherzo», rispose risoluto Tore Pinna, «e io non sto giocando. Il commissario Stigazzi era il mio superiore, un uomo che suppongo conosciate abbastanza bene. Mi ha sempre reputato un poco di buono, poco più di un imbecille, e non si è mai preoccupato che potessi accorgermi di quello che stava succedendo. Ha da tempo preso contatto con un'organizzazione spagnola. Operano nel vostro territorio senza che voi nemmeno ve ne accorgiate. Sono riusciti a corrompere poliziotti, finanzieri, carabinieri, politici. Il gioco funziona così: Stigazzi li avverte se c'è un vostro uomo che sta trasportando su un camion della "merce interessante". Loro avvertono chi di dovere: uomini di legge corrotti fermano il camion, e arrestano il vostro uomo. Metà del contenuto del camion rimane, e va agli atti, metà viene fatto sparire in Spagna. Stigazzi ha un conto aperto in Svizzera, in cui per ogni soffiata gli viene accreditato un cinque percento del valore della merce venduta. Se pensate che stia scherzando, provate a chiedere a Stigazzi in persona. Probabilmente sarà qui a momenti. È sulle mie tracce...»
Il Macellaio e il Contabile si guardarono basiti: non avrebbero mai immaginato una situazione simile. Non sapevano cosa fare. Pinna diceva la verità? Voleva davvero avvisarli, o era lui il vero pericolo?

«Bene signor Commissario, siamo arrivati. Quella in fondo al viale è una delle macchina del Macellaio... Sono tutti qui», disse il Carogna. Si fermarono di fronte al cancello della villa del Contabile.
«Bene, e ora ricorda: Pinna vuole incastrarci tutti. È già arrivato, e avrà già messo su il suo bel teatrino. Qualsiasi cosa abbia tirato fuori per pararsi il culo, sta solo prendendo tempo, cercando prove, aspettando di avere qualcosa di concreto con cui inchiodarci. Quindi dobbiamo convincere il Contabile e il Macellaio che va fatto fuori, subito. Che è un rischio per tutti noi. E che dice solo una marea di stronzate. Chiaro?!?»
«Si, certo, signor Commissario.»
«Adesso scendi dalla macchina e fatti aprire 'sto cancello de merda.»

«Tu che dici?» chiese il Contabile al Macellaio.
«Non so, penso sia ben oltre le mie competenze», rispose il Macellaio.
«Penso che tu abbia ragione. Se tutto quello che ho appena sentito fosse vero, sarebbe l'inizio di una nuova era. Per tutti noi.»
Suonò il campanello. «Guarda lì», disse il Contabile, indicando uno dei monitor di sorveglianza. «Quello è il Carogna, e affianco a lui c'è proprio il Commissario Stigazzi. Questa storia mi piace sempre meno.»
«Ma allora cosa facciamo?» chiese il Macellaio.

martedì 9 giugno 2009

L'ultima volta [13ª PARTE]

Mezzanotte e mezza. L'inizio di un nuovo giorno. Ma per Tore Pinna la giornata non era ancora finita. Dopo circa un'ora di viaggio, giunsero a una collina in aperta campagna, molto distante dalla periferia della città, sormontata da una villa dalle dimensioni gigantesche, con tanto di giardino sconfinato che la circondava. Dev'essere la dimora del contabile, pensò Pinna. Adesso inizia il gioco. Ho un grosso affare da proporre al Contabile. Ma non sono i camion che trasportano alluminio. E tanto meno è un affare da 10 milioni di euro. A dire il vero è un affare da 50, forse 100 milioni di euro. Forse anche di più. In gioco c'era la sua vita. Il tempo per recitare era finito. Il sipario si chiuse nel momento in cui arrivarono alla villa del Contabile, e si riaprì nel momento in cui venne aperto il grosso cancello in ferro battuto. Dopo aver recitato, gli attori si tolgono la maschera e si presentano. Fanno un inchino al pubblico. E raccolgono gli applausi... se lo spettacolo è piaciuto, si intende.
Per Tore Pinna era arrivato il momento di togliere il suo asso dalla manica. E doveva far presto, perché qualcosa gli diceva che il Commissario Stigazzi e il Carogna sarebbero giunti lì a breve.

Si accomodarono in un salotto lussuosissimo: pavimenti in marmo, colonne sparse qua e là, e un'infinità di statue e dipinti di vario genere gli conferivano un'aria solenne e maestosa.
Da una porta laterale uscì il Contabile. Pinna lo vide. Constatò che avrebbe dovuto avere una sessantina d'anni. Era alto e magro, e, nonostante fosse in vestaglia da notte, aveva un portamento fiero ed elegante, che gli suscitò stupore e al contempo ammirazione.
«A cosa devo l'onore di una visita a quest'ora della notte?» chiese il Contabile. «Spero che sia una questione di vita o di morte.»
Il Contabile era stranamente calmo. Il Macellaio tirò un sospiro di sollievo. L'ultima volta che era successo un affare del genere risaliva a qualche anno prima. Un francese aveva da sbrigare un affare importante: un carico da un milione e mezzo di euro era bloccato al porto. La guardia di Finanza aveva iniziato a perquisire la nave merci. Roba di un'ora al massimo, e avrebbero trovato la cocaina nascosta dentro gli orsacchiotti di peluche. Il carico portato dal francese era destinato all'organizzazione di don Luciano. Subito era stato avvisato il Carogna, che aveva provveduto a contattare il Macellaio. Quest'ultimo aveva contattato il Contabile: c'era da muovere molte pedine, e il Contabile era il solo (dopo don Luciano, si intende) ad avere le carte in regola per bloccare la perquisizione prima che trovassero la droga. Dopo avergli telefonato, il Macellaio si era diretto, insieme al francese, presso la villa del Contabile. Il Contabile non aveva gradito di essere stato svegliato. Era andato su tutte le furie. Aveva freddato il francese con tre colpi alla testa. Il Macellaio era rimasto basito. Era uscito dalla villa, temendo che quel pazzo se la prendesse anche con lui. L'affare era andato male. I finanzieri avevano trovato la droga. L'organizzazione di don Luciano aveva perso un milione e mezzo di euro, e se l'era vista brutta: per poco non riuscirono ad incastrarli. Don Luciano però aveva mantenuto la calma, e non aveva osato dire niente al Contabile. A tutti era sembrato molto strano. Se qualsiasi altro membro dell'organizzazione avesse commesso l'errore del Contabile, sarebbe stato scannato vivo. Ma il Contabile... lui godeva di molti privilegi. Più di chiunque altro, dopo don Luciano.
«Chiedo scusa per l'ora», proferì il Macellaio, «ma qui sembra esserci un affare molto importante. Questo gentleman al mio fianco è il dottor Massimiliano Cadeddu. Ha dei camion fermi, che non può spostare. Trasportano merce per una cifra di 10 milioni di euro.»
Tore Pinna porse la mano al Contabile, che gliela strinse energicamente.

«Ma porca di quella troia che t'ha messo al mondo!» esclamò Stigazzi. «Ma 'ndo cazzo stiamo andando? È da quasi un'ora che siamo in viaggio!»
«Scusi signor Commissario», rispose il Carogna, «ma siamo quasi arrivati... roba di minuti.»
«E stigazzi!! Accelera!! Schiaccia quel dannatissimo acceleratore! Non c'è tempo da perdere! Quello stronzo di Pinna sarà già arrivato... Supposto che si siano diretti dove hai detto tu.»
«Si, signor Commissario.»
Il Macellaio accelerò. Roba di minuti, aveva detto. Stigazzi cominciò a sudare freddo. Dio solo sa cosa ha in mente quello stronzo di Pinna, pensò preoccupato.

«Buonasera, il mio nome è Salvatore Pinna.»
Nella stanza sembrò che la temperatura fosse scesa di almeno una decina di gradi.
«Il mio nome è Salvatore Pinna», continuò Tore Pinna, «e sono un appuntato.»
Il Macellaio fece un passo indietro e appoggiò la mano sulla pistola.
«Ho mentito. Non c'è nessun camion, e non c'è nessun affare da 10 milioni di euro. L'affare, invece, è da almeno 50 milioni di euro. In questi ultimi cinque anni so che avete perso molti soldi. Molti dei vostri carichi di droga e di armi sono stati inspiegabilmente intercettati. Avete sicuramente pensato che potesse esserci una spia all'interno dell'organizzazione. Avete fatto fuori qualche disgraziato, ma i carichi continuavano ad essere intercettati. E voi continuavate a perdere soldi. Io so chi vi ha tradito, e so dove sono finiti quei soldi. Lo so perché sono dieci anni che lavoro fianco a fianco con l'uomo a cui state dando la caccia.»

sabato 23 maggio 2009

L'ultima volta [12ª PARTE]

Portaci dal Contabile furono le uniche parole proferite dal Macellaio dopo che salì in macchina. L'autista, un tipo grosso con una brutta cicatrice sulla guancia, annuì senza aprire bocca. Pinna stava seduto accanto al Macellaio. Due piccioni con una fava, pensò avendo cura di non tradire nessuna emozione.
La macchina correva nelle strade strette della città. Pinna guardò distrattamente l'orologio: ore undici e venticinque minuti.

«Dove?!» urlò Stigazzi. «Dove cazzo è andato quel fijo de 'na mignotta!?»
«È un affare grosso», bofonchiò il Carogna, «e quando si tratta di affari del genere, è il Contabile che decide. Investimenti, prestiti, riciclaggio di denaro...»
«E quindi? Dici che si sono diretti dal Contabile? Allora chiamalo! Avvertilo! Forza!»
«Commissario... io non ho mai preso contatti diretti col Contabile. Il mio compito è quello di passare tutti gli affari importanti al Macellaio... E basta. Mi fermo qui. Faccio quello che mi dicono...»
«Ecco, bravo, allora fai quello che ti dico io: vuoi ritrovarti con una pallottola nel cervello? Perché è questo che ti succederà quando si verrà a sapere che sei stato tu a indirizzare quel rotto in culo di Pinna verso i vertici dell'Organizzazione. E se per sbaglio quel fottuto bastardo riuscisse a raccogliere qualche prova? Se non fosse da solo? Ti rendi conto che saresti tu il responsabile? Sei tu che l'hai mandato dal Macellaio...»
Il Carogna rimase basito. Le rughe sul suo volto sottolineavano i tanti anni passati, e i pochi che probabilmente gli rimanevano. Era messo male, lo sapeva benissimo. Il fegato... Cirrosi, gli avevano detto. Forse qualche anno ancora, per essere ottimisti. Qualche anno che voleva ancora viversi. Doveva avvisare i vertici, in qualche modo. Il Contabile... Sapeva dove viveva. Arrivare lì in piena notte... Non era una buona soluzione, lo riconosceva. Però era l'unica soluzione.
«Andiamo dal Contabile. So dove vive. Se si sono diretti lì, li troveremo. In caso contrario, lui saprà cosa fare. Dobbiamo sperare che oggi sia di buon umore. Conosco alcune storie sul suo conto che farebbero rabbrividire chiunque...»
«Bene», rispose Stigazzi, «allora muoviamoci. Quanto dista da qui?»
«Beh... a occhio e croce saranno un'ora e mezza di macchina.»

Erano già passati tre quarti d'ora da quando erano partiti. Pinna non aveva la più pallida idea di quanto tempo ancora sarebbe dovuto rimanere in silenzio in quella macchina. Silenzio che non intendeva rompere. Tempo. Per pensare. Un'idea... Cristo! Ora mi serve un'idea. Il pubblico è in silenzio... e ascolta. Tra poco dovrò dire la battuta di chiusura. E, se sbaglio, non avrò una seconda possibilità.

venerdì 24 aprile 2009

L'ultima volta [11ª PARTE]

«Commissario, cosa facciamo?» chiese spaventato il Carogna
«Anvedi 'sto pezzo de merda... che ci ha staccato il telefono...» sbottò furioso Stigazzi. «Adesso facciamo come dico io: prendi la tua cazzo di macchina, che io sono venuto in taxi, usciamo da questo posto di merda in cui non prendono neanche i cellulari, e avvertiamo subito il Macellaio. Sarà un gioco da ragazzi.»
Certo, lo sarebbe stato, se quel giorno, per ironia della sorte, il Macellaio non avesse staccato il cellulare dopo la chiamata del Carogna (aveva paura di essere intercettato, e la prudenza non è mai troppa).
I due montarono in macchina, e non appena furono fuori dall'isolato, riniziarono a comparire le tacchette nei cellulari.
«Dai, muoviti, chiama il Macellaio e spiegagli tutto!» ordinò Stigazzi, sputacchiando qua e là.
Il Carogna compose il numero...
«Commissario... il Macellaio ha staccato il cellulare.»
I due si guardarono allibiti.
«Forza, forza! Non perdiamo tempo! Dov'è che si dovevano incontrare?!?»

Tempo. Aveva bisogno di tempo. E di un'idea. Un'idea per guadagnare tempo... I due erano già sulle sue tracce. Forse avevano già avvisato il Macellaio... O forse no. Era un rischio grosso, e lo sapeva.
Speriamo che la buona sorte mi aiuti, pensò dubbioso Tore Pinna.
Pensiamo per un attimo che non riescano a chiamarlo. In tal caso potrei avere ancora qualche possibilità di riuscire a compiere il mio piano impossibile... In tal caso cercherebbero di arrivare il prima possibile all'appuntamento. Potrei avere grossomodo cinque minuti di anticipo rispetto a loro. Forse anche meno.
Gli stava venendo un gran mal di testa. Ma non era quello, ora, il suo problema principale. Di lì a pochi secondi avrebbe incontrato il Macellaio. Se fossero riusciti ad avvisarlo, probabilmente non avrebbe avuto neanche il tempo di scendere dalla macchina. In caso contrario...

Pinna arrivò al luogo d'incontro prestabilito, e scese dalla macchina. Angolo tra via Aldo Moro e via Rossini. Ora capiva perché fosse stato scelto proprio quel posto. Era nei "quartieri bassi", in periferia. Proprio a due passi dalla cantina che avevano ispezionato con Stigazzi qualche ora prima, ma sembrava fossero passati giorni, se non mesi. Era acqua passata. I lampioni erano accesi, e proiettavano una forte luce bianca. Era come accecato da quella luce. Come in un palcoscenico, dove l'attore recita, e non vede il pubblico... E il pubblico, invece, lo vede benissimo. Così si sentiva Pinna, come se lo stessero osservando, dall'alto delle tribune, in silenzio, in attesa della sua messa in scena. Cercò di tenere i nervi sotto controllo. Subito dopo che fu sceso dalla macchina, gli si accostò una berlina grigio perla, coi vetri oscurati. Una macchina di classe, senza ombra di dubbio. Lo sportello posteriore destro si aprì, e scese un uomo in abito scuro, alto, dal portamento elegante.
«Buongiorno, dottor Cadeddu», lo salutò una voce bassa e cupa.
«Suppongo che lei sia il mio contatto», rispose Pinna, con voce sicura. C'era da recitare. E da recitare bene. Altrimenti, il pubblico non avrebbe gradito. E lo spettacolo sarebbe terminato prima del tempo.
«So che si tratta di una questione delicata, se vuole salire in macchina, potremmo parlarne nel mio ufficio», disse il Macellaio.
«Mi sembra un'ottima idea», rispose Pinna.
Ok, via da qui. Il più presto possibile. Se non sono ancora morto, vuol dire che Stigazzi e il Carogna non sono riusciti ad avvisare il Macellaio. Quindi stanno arrivando.
Pinna chiuse la macchina e salì in quella del Macellaio.
«Lo spettacolo ha inizio», pensò. Venne scosso da un brivido lungo la spina dorsale.

«Commissario, questa è la macchina di Cadeddu...» disse a bassa voce il Carogna.
«Maledizione! Si son spostati. E comunque si chiama Tore Pinna, il bastardo figlio di puttana!»
«E adesso... cosa facciamo?» chiese il Carogna.
«Hai idea di dove possano essere diretti?»
«Forse. Forse un'idea ce l'avrei», rispose il Carogna con ghigno beffardo.

domenica 5 aprile 2009

L'ultima volta [10ª PARTE]

Il Macellaio era un uomo senza scrupoli. Giacca e cravatta, portamento elegante, tono di voce basso e profondo. Poteva sembrare proprio una brava persona a chi non avesse la benché minima idea dei suoi "lavori privati". Era fra le vette più alte nella gerarchia del "gruppo". Si occupava in prima persona di tutti gli affari più delicati, dalle trattative con i clienti più importanti, al far sparire prove e testimoni pericolosi. Si raccontavano tante storie su di lui. Si diceva che fosse stato lui in persona a occuparsi dell'Onorevole Mario de Sanctis, un importante politico, accusato di non aver pagato il conto a don Luciano. Era una storia di dieci anni prima. De Sanctis, prima di conoscere don Luciano, non era nessuno. Un sindacalista fallito, che stentava ad arrivare a fine mese tra qualche favore fatto alla persona giusta e qualche bustarella presa qua e là. Poi aveva incontrato don Luciano... Non direttamente, si intende. Avevano trovato un accordo: lui sarebbe entrato in politica, don Luciano gli avrebbe finanziato la campagna elettorale. Per qualche mese i muri della città erano stati tappezzati coi suoi manifesti: "Per una città nuova", "Per un posto più giusto", "Per una nuova rinascita", erano solo alcuni dei suoi slogan elettorali. Sarebbe stato eletto sindaco, e avrebbe dovuto far approvare alcuni piani urbanistici che servivano alle imprese di don Luciano.
Però le cose non erano andate così. Dopo esser stato eletto, de Sanctis aveva rilasciato un'intervista in cui dichiarava di essere vittima di un ricatto, e di aver bisogno di protezione. Diceva di aver ricevuto intimidazioni, da parte di un'associazione di stampo mafioso. Il giorno dopo gli uomini di don Luciano, comandati dal Macellaio, avevano fatto irruzione a casa sua. Dopo aver fatto fuori gli uomini della scorta, lo avevano rapito insieme alla moglie e ai figli. Si racconta che il Macellaio avesse chiesto di rimanere solo con lui. In un vecchio capannone abbandonato, ai bordi della città, il Macellaio aveva sparato prima ai suoi due figli, di 8 e 10 anni, e poi alla moglie. Quindi l'aveva lasciato con i tre cadaveri per tre giorni a marcire nel capannone, senza pane e senza acqua. Dopo tre giorni il Macellaio era tornato. Non si sa bene cosa realmente fosse successo. Si sa solo che dopo alcune ore di urla strazianti, gli uomini di guardia trovarono il corpo di de Sanctis terribilmente mutilato.
Dal giorno la notizia si diffuse a macchia d'olio, crebbe terribilmente la popolarità di don Luciano e sempre più persone avevano terrore di lui e dei suoi uomini.

Il commissario Stigazzi bussò rumorosamente alla porta della stamberga in cui viveva il Carogna. Il taxi con cui era arrivato si era già allontanato.
«Carogna!!», urlò Stigazzi, «Apri questa stramaledetta porta di merdaa!!»
«Chi è?» si sentì da dentro la casa.
«Chi cazzo è? Indovina indovinello? E dajeeeee!»
«Ah Commissario, è lei? Mi scusi», il Carogna aprì la porta, «ma pensavo fosse il signore di prima.»
Stigazzi era fuori di se. «Chi? Chi è arrivato prima?»
«Non so... un tipo... strano... ha detto di chiamarsi... Massimiliano... Cadeddu... mi pare...»
«Era sardo?» disse Stigazzi, mentre il sangue gli si raggelava nelle vene.
«Si! Beh, l'accento non lasciava dubbi. Perché Commissario? C'è qualche problema?»
«Cosa ti ha detto?»
«Niente, parlava di un affare», disse a bassa voce il Carogna, «un affare grosso... Io ho seguito "il manuale", l'ho messo in contatto col Macellaio. Lui deciderà cosa fare... Funziona così, giusto?»
Stigazzi impallidì. Era arrivato in ritardo. Forse Pinna stava già parlando col Macellaio. Cosa gli avrebbe detto?
«Allora, ascoltami bene: quello è un bastardo! Ok? Si chiama Tore Pinna, è un mio collega, vuole fotterci tutti, capito? Sicuramente non è da solo, ci deve essere qualcuno che gli copre le spalle... Ha scoperto alcune cose sul mio conto... sul nostro conto... Vuole fotterci. Capito? Vuole fotterci!! Dobbiamo subito avvisare il Macellaio che potrebbe trattarsi di un'imboscata... Io lo so... che è così... son venuto per dare l'allarme... È un affare molto delicato.»
«E quindi? Cosa facciamo adesso?» Il Carogna aveva un gran mal di testa. Tutta quella faccenda non gli piaceva per niente. Non ci aveva capito molto... Aveva solo capito che probabilmente si era fatto fottere da uno sbirro. E che adesso era nella merda fino al collo.
«Facciamo così», sentenziò Stigazzi, «adesso tu chiami il Macellaio, e gli dici che i lupi sono arrivati nell'ovile, va bene?»
Era un vecchio codice che serviva per comunicare che era in atto un'imboscata.
«Il Macellaio capirà, e, dopo aver chiesto rinforzi, si sbarazzerà di Pinna e della sua eventuale scorta.»
A Stigazzi era tornato il sorriso... O perlomeno quel ghigno beffardo che più che un sorriso sembrava una smorfia. Bene bene bene, pensò Stigazzi, forse riusciamo a risolvere tutto nel giro di un paio d'ore... Pinna imparerà che non si gioca col fuoco...
Il Carogna sollevò la cornetta del telefono. Muto. Capitava spesso che in quella zona ci fossero dei disservizi... O forse qualcuno aveva tagliato la linea.
«Commissario, il telefono non funziona.»
«E stigazziiii!! Usa il cellulare!» rispose a tono Stigazzi.
«Commissario, in questa zona il cellulare non prende.»
Stigazzi smise di sorridere e iniziò realmente ad aver paura.

La prima cosa che avrebbero fatto sarebbe stata chiamare il Macellaio. Pinna questo lo sapeva, e sapeva anche che lì i cellulari non prendevano. Inoltre la centralina della Telecom era a 500 metri dalla casa del Carogna. C'era solo una cosa da fare.
In qualche minuto mise fuori uso le linee dell'intero isolato. Bene, aveva guadagnato un po' di tempo in più. Tempo prezioso. Ora doveva correre verso il luogo d'incontro prestabilito. Avrebbe incontrato il Macellaio.
Il motore aumentò di giri.

lunedì 30 marzo 2009

L'ultima volta [9ª PARTE]

«Ma chi minchia è a quest'ora?» imprecò il Carogna, alzandosi di scatto dalla sedia e rovesciando il bicchiere di whiskey sul tavolo. Prese il fucile, tolse la sicura, e aprì la porta.

Me l'aspettavo, pensò Pinna, senza perdere la calma. «Buonasera, mi scuso per l'ora, ma avrei un affare urgente da sbrigare. Non ho armi addosso e sono da solo. Se può abbassare quel fucile, magari si potrebbe fare una chiacchierata da persone civili...»
Il Carogna, dopo essersi accertato della veridicità delle affermazioni di Pinna, mise il fucile da parte e lo fece entrare.
«Dunque, innanzitutto mi presento. Mi chiamo Massimiliano Cadeddu. Sono appena arrivato dalla Sardegna per cercare di risolvere un problema...»
Gli sarebbe piaciuto poter fingere di non essere sardo, ma il suo accento glielo impediva. Se Stigazzi avesse parlato col Carogna... meglio non pensarci, per ora.
«
La situazione ci è sfuggita un po' di mano. Hanno intercettato uno dei nostri camion che trasportavano alluminio... Chiaramente non c'era solo alluminio. Ora il rischio è che perquisiscano anche gli altri. I camion sono parcheggiati in un piazzale poco distante da qui. Si parla di un affare da 10 milioni di euro... Non proprio spiccioli, insomma. La ditta che usavamo come copertura è al momento sotto sequestro preventivo... Poco male per quello, visto che abbiamo fatto sparire le prove. Però mancano all'appello i 15 camion. Le autorità li stanno cercando.»
Il Carogna ascoltava con attenzione, aggrottando la fronte ogni tanto. Accese uno dei suoi sigari cubani e iniziò ad aspirare nervosamente a grosse boccate.
«Non abbiamo mai avuto rapporti diretti con voi. Però sappiamo che questo è il vostro territorio, e se vogliamo far arrivare al più presto i camion a destinazione, forse voi potreste darci una mano.»
Pinna sapeva che il Carogna non era autorizzato a prendere simili decisioni, e sapeva anche che ogni tanto gli toccava ricevere visite di quelli che sarebbero diventati i futuri clienti.
«C'è un unico problema: la merce deve arrivare entro stanotte a destinazione. Stanno per scoprire dove si trovano i camion, è solo questione di ore.»
Bene. un affare da dieci milioni di dollari. Da risolvere al più presto possibile. Il Carogna era stato ben addestrato ad affrontare situazioni simili: doveva solo contattare il Macellaio. Poi avrebbe potuto riniziare a bere il suo whiskey.
«Va bene. Aspettate un attimo», borbottò il Carogna, e andò in un'altra stanza. Dopo poco più di un minuto fece ritorno.
«Fatevi trovare all'angolo tra via Aldo Moro e via Rossini. Sapete dove si trova?»
«Userò il navigatore»
«Bene, allora arrivederci», grugnì il Carogna.
«Arrivederci», gli rispose Pinna. Uscì dalla casa, salì in macchina e partì verso il luogo d'incontro prestabilito. Il loro colloquio non era durato neanche dieci minuti. Appena uscito dalla strada bianca che portava alla casa del Carogna, imboccò la provinciale. Lì incrociò un taxi. Dentro il taxi intravide il commissario Stigazzi intento a fare una telefonata.
«Non mi ha visto. Grazie a dio, non mi ha visto», pensò Pinna, sudando freddo e premendo più a fondo l'acceleratore.

venerdì 20 marzo 2009

L'ultima volta [8ª PARTE]

Il Carogna non aveva una vita sociale, né aveva mai desiderato averla. Era solitario e misantropo, odiava tutto e tutti, e se poteva evitava di uscire di casa per giorni e giorni. Burbero, di poche parole, con addosso la solita tuta blu da meccanico sporca di grasso. La folta barba nera incolta e i capelli lunghi oleosi raccolti in una specie di coda gli conferivano un'aria davvero trasandata.
Era un bravo esecutore di ordini, e per questo piaceva molto a don Luciano, col quale, però, non aveva rapporti diretti. Era il Macellaio a occuparsi di tutto. Gli diceva cosa fare, come farlo, dove farlo. E il Carogna eseguiva, lento ma preciso, senza sbagliare e senza mettersi alcun tipo di problema morale. Era un sempliciotto, non abituato a prendere decisioni, e questo Pinna lo sapeva.

Pinna si era procurato dei vestiti nuovi. Era quasi irriconoscibile, agghindato così: abito scuro, mocassini in pelle, giaccone in kashmir. E un nuovo portamento, elegante, riservato. Sembrava proprio uno di loro. Aveva noleggiato una berlina Mercedes, nera, lucidata a puntino, con i vetri oscurati e gli interni in pelle. Si, sembrava decisamente uno di loro. Però aveva già perso troppo tempo...
Era ormai arrivato all'estrema periferia della città, dove si intravedevano collinette e prati verdi. Lì avrebbe trovato il Carogna. Ma doveva fare molto in fretta, Stigazzi era già sulle sue tracce.

Stigazzi continuava a rimuginare. Cosa aveva intenzione di fare Pinna? Stava davvero cercando di arrivare a don Luciano? Oppure semplicemente erano tutte congetture? Magari era già in aeroporto... pronto a fuggire come un vigliacco. Si, un vigliacco. Un lurido vigliacco fijo de 'na mignotta. E se non fosse stato un vigliacco? Se anziché fuggire, consapevole del fatto che prima o poi l'avrebbero preso, avesse davvero tentato di arrivare a don Luciano? Pinna sapeva troppo. Pinna poteva costargli tutto. Pinna poteva anche prendere il suo posto da commissario, se avesse voluto.
In ogni caso, doveva andare dal Carogna. Aveva bisogno di una mano... Il Carogna l'avrebbe aiutato. Ormai lo considerava quasi un amico. Era troppo stupido per capire quante volte Stigazzi lo avesse raggirato, quante volte lo avesse usato per i suoi traffici privati, senza passare per don Luciano. E anche questa volta gli avrebbe tirato fuori una bella storia. L'avrebbe condita di un po' di "mi devi aiutare", "io con te farei lo stesso", "è anche grazie a me che puoi vivere qui da solo, senza grossi problemi, facendo solo qualche lavoretto ogni tanto"... e poi gli avrebbe detto di contattare il Macellaio, di dirgli che Pinna... che Pinna aveva scoperto qualcosa... e che stava per avviare un'indagine su di loro. Ecco! Così, senza pensarci due volte, l'avrebbero cercato e fatto fuori. Veloce e indolore. Beh, se invece fosse stato lui a trovare per primo Pinna... non sarebbe stato né veloce né indolore... Ma quello era un altro discorso. Il motore calò di giri. Poi aumentò. Poi diminuì. La macchina si spense. Aveva finito la benzina. «A lì mortacci!! Puttana la mignotta!!», imprecò Stigazzi. Abbandonò la Volvo nera sul ciglio della strada e si preparò a fare una lunga passeggiata.

Pinna parcheggiò la Mercedes. Diede uno sguardo all'orologio: erano le dieci e mezza di sera. Un po' tardi per una visita, no? Vabbè, pazienza. Suonò il campanello e attese sull'uscio. Nel giro di dieci minuti sarebbe arrivato anche Stigazzi. Ma questo, chiaramente, Pinna ancora non lo sapeva.

mercoledì 11 marzo 2009

L'ultima volta [7ª PARTE]

Bisognava trovare un piano. Alla svelta. Non ci si poteva rivolgere alle forze dell'ordine. Pinna aveva da tempo capito che erano profondamente corrotte. Quindi, doveva fare tutto da solo.
Andare da don Luciano? Poteva essere un'idea. Se non riesci a batterli, unisciti a loro. D'altronde aveva innumerevoli contatti in testa. Tutti memorizzati. Iniziamo a salire i gradini, pensò soddisfatto, e arriviamo a don Luciano. Se ci arriviamo vivi, non mi resta che consegnare le pecorelle smarrite al pastore. Potrei anche fuggire... Ma so già che mi troverebbero. Non farei in tempo ad arrivare al primo aeroporto... Stigazzi e i suoi uomini mi stanno già cercando. È una lotta contro il tempo. Arrivare da don Luciano prima che Stigazzi mi pianti una pallottola nel petto.
Ok, punto numero uno: andare a fare una visita al Carogna. Punto numero due: scoprire dove poter trovare il Macellaio, e farci due chiacchiere. Punto numero tre: trovare il Contabile. E per finire, parlare con don Luciano. «Si, può funzionare», disse a bassa voce, «ma prima di tutto mi devo sbarazzare di questa macchina e della mia uniforme.»

«Anvedi quer fijo de 'na mignotta!» imprecò Stigazzi. «E che cazzo vuol fare adesso?»
L'assassino guardò sbigottito Stigazzi.
«Io lo so cosa vuol fare quello stronzo», continuò Stigazzi, «quello stronzo ci vuole consegnare nelle mani di don Luciano. Non mi ero mai reso conto che dentro quella testa vuota avesse un cervello... Potrebbe conoscere nomi, indirizzi... Potrebbe mettermela nel culo... Sa troppe cose su di me. Sa di certi affarucci che ho fatto, roba che sicuramente non piacerà a don Luciano. Se dovesse venirne a conoscenza... non voglio immaginare cosa potrebbe succedermi. E poi adesso sa anche che ti volevo coprire. Beh, il primo problema lo risolviamo subito, tanto ormai, non mi servi più a niente...»
Freddo, impavido, estrasse la pistola di ordinanza, la puntò al petto dell'assassino, e scaricò due colpi in rapida successione. L'altro non ebbe il tempo di reagire. Morì sul colpo, andando a sbattere contro il cofano della macchina.
«E adesso, cerchiamo di risolvere anche il problema Pinna», sentenziò Stigazzi. «Quel lurido figlio di puttana si pentirà di ciò che ha fatto. Lo ucciderò lentamente, quel bastardo... Lo farò soffrire a tal punto che mi supplicherà di ucciderlo. Gli farò rimpiangere di non essere morto adesso. Avrei fatto una cosa veloce. Indolore. E invece lui voleva vivere... E forse adesso vorrebbe prendere il mio posto... Capirà che ha fatto il passo più lungo della gamba.»
Stigazzi prese un fazzoletto, e si asciugò la faccia e le mani dal sangue che gli era schizzato addosso. Anche l'uniforme era sporca. Aprì il bagagliaio della Volvo nera e caricò il corpo ancora caldo del killer. Salì in macchina. Girò le chiavi, che erano rimaste inserite. Accese la macchina. E partì. E adesso, andiamo a fare una visita al Carogna, pensò Stigazzi risoluto.

sabato 7 marzo 2009

L'ultima volta [6ª PARTE]

L'agente Tore Pinna aveva dietro di se una storia molto particolare. Ultimo di cinque figli, aveva vissuto i primi diciotto anni della sua vita nell'entroterra sardo, dove aveva compreso fin dall'infanzia i concetti dell'onore e del rispetto. Poi aveva scelto di fare lo sbirro. In realtà quel lavoro non gli era mai piaciuto, ma era stato l'unico modo per evadere dal campanilismo di una società chiusa, in cui non avrebbe avuto nessun tipo di futuro. Ogni tanto sognava le sue montagne e il suo paesetto di trecento abitanti, in cui aveva abbandonato la dimensione umana per essere fagocitato dalla grande città.
Quel lavoro lo stava lentamente logorando, se ne rendeva conto giorno dopo giorno. Gli anni della speranza, dell'ottimismo e della scoperta avevano lasciato il posto a quelli della rassegnazione, del passivismo e della rinuncia.
Ormai, si era rassegnato. Svolgeva sempre gli stessi compiti, comandato a bacchetta da quello stronzo di Stigazzi, in un susseguirsi di giornate uguali e senza senso. Ma c'era una cosa che Stigazzi non aveva assolutamente previsto: in dieci anni di onorato servizio Pinna aveva riordinato e archiviato tanto di quel materiale da essersi reso conto, mese dopo mese, anno dopo anno, che quel fottuto bastardo di Stigazzi era corrotto fino al midollo. Ormai conosceva nomi e cognomi di tutti i suoi scagnozzi. Di me non si preoccupa, pensava rabbioso Pinna. Mi considera uno stupido, un inetto, un bravo esecutore di ordini.
Stigazzi avrebbe scoperto a sue spese che l'agente Tore Pinna non era per niente innocuo, e tutti quegli anni di sottomissioni e silenzi forzati lo avevano lentamente trasformato. La vendetta è un piatto che va consumato freddo. E Tore Pinna aveva già aspettato abbastanza.
Pinna diede uno sguardo all'assassino, e poi si rivolse verso Stigazzi. Il killer aveva riposto la pistola, e Stigazzi era talmente sicuro dell'innocuità di Pinna, che gli dava le spalle, ignorandolo. Doveva fare in fretta: questione di secondi, e l'avrebbero fatto fuori. Stigazzi non si sarebbe messo problemi a sbarazzarsi di lui.
Con una mossa repentina, Pinna tirò fuori la pistola d'ordinanza, si allontanò di qualche passo e sparò due colpi in rapida successione. La sua mira era infallibile: colpì il ginocchio di Stigazzi, che cadde in avanti, travolgendo l'assassino. Approfittando del momento di caos, salì nella macchina ancora accesa, e si dileguò. Nella faccia del commissario si dipinsero prima sgomento, e poi rabbia. Rabbia e indignazione.
«Ma che cazzo hai fatto Pinna? Tu non hai idea del casino in cui ti sei appena cacciato!!» urlava Stigazzi alla volante che, stridendo le gomme nell'asfalto, per poco non lo travolgeva.
Pinna aveva già capito cosa avrebbe dovuto fare. Era ora di finirla, una volta per tutte. Si ricordava i nomi, gli indirizzi, e addirittura i numeri di telefono. Stigazzi ha le ore contate, pensò con un pizzico di soddisfazione. Le conosceva, le regole. Regola numero uno: chi sbaglia è morto. Regola numero due: chi tenta di fottere don Luciano, è morto due volte.
Spinse il pedale dell'acceleratore a tavoletta. Si guardò nello specchietto retrovisore, non riconoscendosi. La gente cambia, pensò, e il povero coniglio bastonato si è trasformato in un lupo. Un lupo assetato di sangue. E di vendetta.

venerdì 6 marzo 2009

L'ultima volta [5ª PARTE]

Rimase paralizzato.
Chi cazzo era quello sbirro che aveva tutte quelle informazioni su di lui? E poi don Luciano, l'Innominabile, l'Intoccabile, il Supremo, poteva forse avere contatti diretti con uno sbirro? Probabilmente no. Lui stesso, non l'aveva mai visto, don Luciano. Aveva sempre ricevuto i suoi ordini per via indiretta, e li aveva sempre eseguiti. In maniera impeccabile, altrimenti non sarebbe rimasto vivo fino a quel giorno. Quel giorno in cui aveva sbagliato.
Riguardo a don Luciano non si sapeva granché. Si sapeva solo che era lui a manovrare le redini di mezza Italia. Era lui a muovere le pedine nella scacchiera della politica. Ed era sempre lui che, servendosi di prestanome, aveva costruito un patrimonio immenso, con fondi sparsi in quasi tutte le più importanti banche del mondo. E, per finire, si sapeva anche che don Luciano non perdona. Non puoi sbagliare, quando lavori per don Luciano. E lui aveva sbagliato. Si, aveva decisamente bisogno di una mano.

Il commissario Stigazzi aveva molti più scheletri nell'armadio di quanti ne desse a vedere. Già da tempo aveva preso contatti con don Luciano e da subito aveva capito che se avesse voluto combinare qualcosa, era a lui che avrebbe dovuto rivolgersi. E così era iniziata l'epoca dei testimoni che si suicidavano, degli assolti per "mancanza di prove", delle bustarelle date alle persone giuste al momento giusto. E la sua carriera aveva preso una svolta: in poco tempo era diventato commissario, e tra un affaruccio e l'altro era riuscito a racimolare un bel po' di soldi che aveva coscientemente depositato in una banca svizzera. Prima o poi avrebbe mandato tutti affanculo, e se ne sarebbe andato da quel posto di merda. O almeno così pensava, ogni mattina che si guardava allo specchio radendosi la barba.


«Bravo, metti giù la pistola, che non serve», disse Stigazzi, come se stesse parlando a un bambino capriccioso.
Qualche ora prima, nella vecchia cantina, aveva aspettato che Pinna si distraesse, e furtivamente aveva fatto sparire il portafoglio dalla scena del crimine. Ora lo tirava fuori, e lo sbatteva in faccia all'assassino.
«Sapevo che questa era roba tua. È tuo vero?»
Il killer allungò la mano, e lesto afferrò il portafoglio.
«Anvedi 'sto stronzo!», intercalò Sticazzi, «E adesso, parliamo un po' di affari. Io ti faccio sparire nel nulla. Basterà procurare un cadavere che ti assomigli. Faremo un bel rapporto in cui dichiarerò che hai tirato fuori la pistola, hai sparato all'agente Pinna, e io ho dovuto aprire il fuoco. Per il test del DNA e cazzi vari, ho già persone fidate che se ne potranno occupare. Nessuno ti cercherà più. In cambio voglio due milioni di euro nel mio conto in Svizzera. So che per te non sarà un problema racimolare tutti quei soldi, dopo più di cinque anni che lavori alle dipendenze di don Luciano. Li voglio entro domani pomeriggio. E per essere sicuro che non farai il furbo, sappi che tengo già d'occhio la tua cara Emeline. Cinque uomini di mia fiducia la stanno seguendo giorno e notte. Salvo ordini contrari, alle cinque di domani pomeriggio le faranno saltare le cervella. Quindi, muovi il culo. E non pensare di fottermi. Neanche per scherzo.»

Pinna capiva lentamente il quadro che andava dipingendosi.
Il commissario si becca due milioni di euro, e io muoio. Fine della storia. Su cunnu...
Era sempre stato ligio al dovere. Mai sarebbe contravvenuto agli ordini. Ma, in quel frangente, doveva reagire. E fare qualcosa che nessuno si sarebbe mai aspettato potesse fare. Nemmeno lui.

giovedì 5 marzo 2009

L'ultima volta [4ª PARTE]

«Pinna!! Pinna abbiamo vinto!! 'A magggica Pinna! 'A magggica!!! Doppietta di Totti!! Pinnaaa!!»
«Si, Signor Commissario, doppietta...» replicò imbarazzato l'agente Pinna.
«Metti le sirene Pinna, che quello stronzo con la volvo nera non si ferma... Mannaggia...»
Pinna accese le sirene. La volvo nera rallentò, e poi accostò.
«Buonasera agente», disse l'uomo al volante.
«Buonasera! Favorisca i documenti!» sentenziò Stigazzi.
«Commissario... potrebbe essere l'assassino, le procedure dicono di farlo scendere e fargli mettere le mani dietro...» sussurò Pinna all'orecchio di Stigazzi.
«Pinna!! E dajeeeee...! Le conosco le procedure!!» urlò sputacchiando, «e adesso lei scenda dalla macchina favorendo i documenti e mettendo le mani dietro la schiena bene in vista!!»

Ok, era nella merda. Sempre più nella merda. Il piccoletto sembrava aver detto qualcosa a quello grassoccio... Non era riuscito a capire cosa. Però gli era sembrato di sentire assassino... No, forse si sbagliava. Manteniamo la calma, continuò a ripetersi mentalmente. Scese dalla macchina.
«Adesso tiro fuori i documenti», disse rivolgendosi al commissario. Con una mossa repentina tirò fuori la sua .44 Magnum dalla fondina sotto la giacca, e la puntò verso i due poliziotti.
«A 'li mortacci Pinna!! Guarda in che casino...» borbottò Stigazzi. Poi, rivolgendosi all'uomo con la pistola, impavido e risoluto, disse: «Stiamo calmi, stiamo calmi! Un accordo lo troviamo. Qui sembra proprio che abbiamo trovato il cagnolino di don Luciano. Eh?! Il cagnolino che sta scappando dal padrone, e che forse ha più bisogno di una mano che di due sbirri morti sulla fedina... Cosa facciamo? La abbassiamo quella pistola?»
Pinna era terrorizzato. Tremava come una foglia e, pallido nel volto, era sul punto di svenire.

mercoledì 4 marzo 2009

L'ultima volta [3ª PARTE]

Si era sbarazzato dei cadaveri... E ci aveva messo più del previsto. Bisognava mettere fine a quella faccenda. E allontanarsi il più possibile. Il motore aumentò di giri.
Prima o poi dovrò parlare con don Luciano, pensava, o forse sarebbe meglio sparire, nel nulla... No no, non servirebbe, mi troverebbero, anche se andassi in capo al mondo. E se non riuscissero a trovare me, non voglio neanche immaginare quello che potrebbero fare a...
Il sangue gli si raggelò nelle vele. Brividi improvvisi lungo la spina dorsale. Tenere la calma, mantenere la calma, è tutto sotto controllo continuava a ripetersi meccanicamente. Ma sapeva che nulla era sotto controllo. La situazione gli era sfuggita di mano. La macchina correva all'impazzata.
Cazzo, era una macchina della polizia... E io ho superato il limite. Di molto. Non ci voleva... Cazzo! Sudava freddo. Ma doveva mantenere la calma... Vide di sfuggita uno sbirro grassoccio che saltellava dentro la macchina, e un altro magrolino che lo guardava sbigottito.

Dopo che l'agente Tore Pinna finì di scrivere il rapporto, si allontanarono dalla scena del crimine. Ora portiamo in centrale questo cazzo di rapporto, e poi tutti a casa che oggi c'è 'a matriciana... pensò Stigazzi, con l'acquolina in bocca. Pinna sterzò bruscamente per immettersi sulla tangenziale. Stigazzi fece un rutto rumoroso. La radio continuava la sua telecronaca.
Calcio di rigore a favore della Roma. Batte Totti. L'arbitro fischia... Ed è GOAL!! Due a zero per la Roma!!!
«Mi scusi, Signor Commissario... quella volvo nera che ci ha appena superato... non stava correndo un po' troppo?» chiese sbigottito Pinna, mentre Stigazzi saltellava in macchina, esultando per il goal del 2 a 0.
«Ma Pinna! Porca puttana... Come te lo devo dire? E stigazzi.....!! Dueazero! Dueazero per 'a maggica!! Ma ti rendi conto Pinna?!»
«Signor Commissario... l'uomo al volante... aveva i capelli... lunghi... e poi c'era la volvo nera... Corrisponde all'identikit dell'assassino... Non pensa che... forse...»
«Cristo santo Pinna! Ma perché cazzo non me le dici subito le cose?! Segui quella merda di macchina, e muovi il culo! Ma ti devo sempre dire tutto io?!»
«Grazie Signor Commissario, mi scusi, ha ragione...»
«Ecco bravo! Meno rottura di cazzo, e più operativo. E ora, silenzio!»
La radio continuò a borbottare la telecronaca. Roma due, Lazio zero. Ottantacinquesimo minuto.

Che cazzo vogliono?! Perché mi stanno seguendo... sbirri di merda... mugugnò a bassa voce, mentre si rendeva conto che la situazione stava davvero prendendo una brutta piega. Accelerare? Cercare di distanziarli? Con quella vecchia volvo sarebbe stato davvero difficile... E poi stava finendo la benzina. Se mi va bene, mi becco una multa per eccesso di velocità, se mi va male...
Si guardò addosso: le macchie di sangue... Cristo! Se ne era quasi dimenticato. E adesso? Diede uno sguardo allo specchietto retrovisore. La macchina degli sbirri gli si era attaccata al culo. E gli faceva i fari.
Ciao ciao... pensò.

lunedì 2 marzo 2009

L'ultima volta [2ª PARTE]

Erano le 19:55. Alla centrale di polizia il telefono squillava all'impazzata. Doveva essere successo un bel casino, giù al quartiere popolare. La gente era stranamente preoccupata. «Strano, di solito se ne fregano di queste cose» pensò ad alta voce il Commissario Stigazzi. Stavolta doveva essere qualcosa di grosso... Serviva la sua presenza.
Stigazzi fece una smorfia «Proprio oggi che c'è il derby... romalàzio!! 'A magggica... 'A magggica...! Dannazione!!» imprecava senza ritegno, da buon romanista sfegatato che era.
«Pinna!! Pinnaaaaaaa!!! Dove cazzo sei finito!? Ma cristo santo, ogni volta che servi sei nel cesso a cagare!?»
«No Signor Commissario, ero in archivio, stavo riordinando i casi come mi ha detto lei...»
«E stigazzi! Adesso muovi il culo che dobbiamo andare nella scena del crimine, che due cojoni...»
«Cos'è successo Signor Commissario?» chiese preoccupato l'agente Tore Pinna.
«Fatti un po' più i cazzi tuoi, e cerca di scassarmi meno i coglioni», rispose Stigazzi risoluto.

Mezz'ora dopo erano nel quartiere popolare. La radio era sintonizzata sul canale sportivo. «Ma proprio oggi doveva succedere...» borbottava Stigazzi.
Attesero un bel po' in macchina prima di scendere. Fine primo tempo.
«Facciamo una cosa veloce, abbiamo un quarto d'ora. Veloce Pinna! Hai capito!?» si rassicurò il Commissario.
«Ai suoi ordini, Commissario...» bofonchiò Pinna.
Entrarono nella cantina. Era buio. E c'era puzza. Puzza di sangue marcio, pensava Stigazzi. Sembra di essere in una macelleria.
«Pinna! Muovi il culo e cerca quella dannata luce! Facciamo il rapporto, e muoviamoci.»
L'agente Pinna accese la luce, e per poco non svenì. Lo spettacolo era raccapricciante. Sangue ovunque: per terra, sui muri, persino sul soffitto. Ma nessun corpo. Nessuna traccia visibile che potesse far venire in mente una pista da seguire.
«Bene, quindi cadaveri non ce ne sono...» sentenziò Stigazzi. «Allora se la vedranno quelli della Scientifica. Il nostro lavoro è finito. Andiamo Pinna, il rapporto lo scriverai in macchina mentre torniamo.»
Pinna notò che invece qualcosa era presente... in un angolo. Forse una scarpa... si, si! Era una scarpa. Un mocassino per la precisione. E affianco alla scarpa... Un portafoglio! Potevano esserci dei documenti dentro... Se fossero stati fortunati, sarebbero potuti essere i documenti dell'assassino. All'agente Pinna tremavano le mani. Fece un bel respiro, e a bassa voce, quasi sussurrando, disse: «Mi scusi, Signor Commissario... Veramente ci sarebbe un portafoglio e un mocassino, lì nell'angolo in fondo... vede!? Forse dovremmo...»
«Ma Pinna! Porca puttana ladra!! E stigazzi........!! Come te lo devo dire? È già iniziato il secondo tempo, e secondo te dobbiamo rimanere in questa topaia a lucidare mocassini? Io non ho visto niente. E neanche tu. Va bene Pinna? VA BENE?! NIENTE!!»
Pinna arrossì subito, e spaventato rispose: «Va bene Signor Commissario, niente, niente, non abbiamo visto niente.»
Uscirono dalla cantina. Risalirono in macchina. Il Commissario Stigazzi accese subito la radio. «Appena in tempo», sospirò. Era appena iniziato il secondo tempo. Fallo per la Roma. Calcio di punizione. Batte Totti. L'arbitro fischia... Pallonetto... ed è GOAL!! GOAL GOAL GOAL!!!
«Che ce frega der fenomeno c'avemo Totti Goal! E Totti Gooooal! E Totti Gooooooal!!»
Stigazzi si improvvisò in una standing ovation... da solo. Uno a zero per la Roma. «Forza ragazzi, continuate a combattere...!!», bofonchiò a denti stretti. Dagli occhi lucidi, lenta, gli scendeva una lacrima.

domenica 1 marzo 2009

L'ultima volta [1ª PARTE]

Le mani sudate stringevano forte il volante. Il cuore palpitava come una di quelle vecchie sveglie in metallo a carica manuale. Il sangue premeva sulle tempie, un mal di testa lancinante era in agguato. L'ultima volta, si era detto. L'ultima volta, e poi esco dal giro. Chiazze di sangue sulla camicia, sulla giacca, sui pantaloni. Non doveva andare così, si ripeteva. Non era nei piani, non era previsto. I cadaveri attendevano senza fretta nel bagagliaio.
DNA ovunque, stavolta mi beccano, stavolta non riuscirò a farla franca, e pensò che quella volta sarebbe stata davvero l'ultima. Doveva essere un semplice scambio di favori, "una cosa da gentleman", come avrebbe detto Antonino. E adesso cosa avrebbe raccontato a don Luciano? Che la situazione gli era sfuggita di mano? Che quei fottuti stronzi l'avevano preso per il culo? La verità era che aveva mandato a monte un affare. Un affare grosso, e ora si ritrovava coi cadaveri di due clienti nel bagagliaio, in un mare di merda in cui sarebbe affogato.
Doveva trovare una soluzione. Alla svelta. Forse aveva ancora una possibilità di salvarsi il culo. Far sparire le prove, prima di tutto. Far sparire i cadaveri, bruciare la macchina, bruciare i vestiti, farsi una bella doccia, e poi... a questo ci avrebbe pensato più tardi.
Ora doveva solo allontanarsi il più possibile da quel lurido quartiere fatiscente. Lo stavano già cercando. Aveva sempre avuto un sesto senso. Ma stavolta non serviva. Col casino che aveva combinato sapeva che probabilmente erano già sulle sue tracce.

sabato 28 febbraio 2009

C'era una volta...

C'era una volta, in un Posto Lontano Lontano, il Re Buono che governava il suo regno con Giustizia e Onestà.
Nel Paese Vicino, invece, c'era il Re Cattivo, che governava con Ingiustizia e Disonestà.
Giustizia e Ingiustizia erano sorelle, Onestà e Disonestà erano cugine. Tuttavia non avevano molti rapporti le une con le altre. Il Re Buono e il Re Cattivo, invece, non avevano nessun grado di parentela.
E le cose tanto andavano bene nel Posto Lontano Lontano, quanto andavano male nel Paese Vicino. Se da una parte i sudditi vivevano negli agi, dall'altra erano trattati come schiavi. Se da una parte c'erano scuole, università e centri di ricerca, dall'altra c'erano soltanto templi e falsi dei da adorare.
Tuttavia, le cose erano molto semplici.
Dopo tanti anni il Re Buono morì, e il figlio, il Principe Abbastanza Buono, gli succedette. Anche il Re Cattivo morì, ed ebbe come successore il Principe Abbastanza Cattivo.
E così continuò, per generazioni e generazioni, fino a che le differenze tra i due regni andavano assottigliandosi talmente tanto, che la gente era ormai diventata indifferente e banderuola sia nel Posto Lontano Lontano che nel Paese Vicino.
Non si poteva più dire di stare bene, né di stare male. Si sopravviveva, tra un espediente e l'altro, in attesa di tempi migliori.
Ah, dimenticavo! Giustizia e Onestà non ebbero mai una discendenza...

venerdì 27 febbraio 2009

Si ricomincia...

Bene. Ci siamo. Cascati. Di nuovo.
Dopo tanto tempo... in silenzio. Qualcuno ne sentiva la mancanza?
Nella grande e caotica rete, ancora, forse per poco, libera, un piccolo spazio ritagliato in cui buttare giù quattro righe.
Quelle quattro righe che magari non ti cambiano la giornata, ma ti fanno rallentare un attimo, in quella che nient'altro è se non una frenetica esistenza.
Fermarti per pensare. Fermarti per reagire. Fermarti per riflettere. Fermarti perché in fondo sei stanco. E ti sei rotto i coglioni di correre. E quindi, ci fermiamo un attimo. Facciamo un bel respiro e ragioniamo sul da farsi. Con i piedi per terra, e la testa fra le nuvole.
Bene, si ricomincia...