venerdì 24 aprile 2009

L'ultima volta [11ª PARTE]

«Commissario, cosa facciamo?» chiese spaventato il Carogna
«Anvedi 'sto pezzo de merda... che ci ha staccato il telefono...» sbottò furioso Stigazzi. «Adesso facciamo come dico io: prendi la tua cazzo di macchina, che io sono venuto in taxi, usciamo da questo posto di merda in cui non prendono neanche i cellulari, e avvertiamo subito il Macellaio. Sarà un gioco da ragazzi.»
Certo, lo sarebbe stato, se quel giorno, per ironia della sorte, il Macellaio non avesse staccato il cellulare dopo la chiamata del Carogna (aveva paura di essere intercettato, e la prudenza non è mai troppa).
I due montarono in macchina, e non appena furono fuori dall'isolato, riniziarono a comparire le tacchette nei cellulari.
«Dai, muoviti, chiama il Macellaio e spiegagli tutto!» ordinò Stigazzi, sputacchiando qua e là.
Il Carogna compose il numero...
«Commissario... il Macellaio ha staccato il cellulare.»
I due si guardarono allibiti.
«Forza, forza! Non perdiamo tempo! Dov'è che si dovevano incontrare?!?»

Tempo. Aveva bisogno di tempo. E di un'idea. Un'idea per guadagnare tempo... I due erano già sulle sue tracce. Forse avevano già avvisato il Macellaio... O forse no. Era un rischio grosso, e lo sapeva.
Speriamo che la buona sorte mi aiuti, pensò dubbioso Tore Pinna.
Pensiamo per un attimo che non riescano a chiamarlo. In tal caso potrei avere ancora qualche possibilità di riuscire a compiere il mio piano impossibile... In tal caso cercherebbero di arrivare il prima possibile all'appuntamento. Potrei avere grossomodo cinque minuti di anticipo rispetto a loro. Forse anche meno.
Gli stava venendo un gran mal di testa. Ma non era quello, ora, il suo problema principale. Di lì a pochi secondi avrebbe incontrato il Macellaio. Se fossero riusciti ad avvisarlo, probabilmente non avrebbe avuto neanche il tempo di scendere dalla macchina. In caso contrario...

Pinna arrivò al luogo d'incontro prestabilito, e scese dalla macchina. Angolo tra via Aldo Moro e via Rossini. Ora capiva perché fosse stato scelto proprio quel posto. Era nei "quartieri bassi", in periferia. Proprio a due passi dalla cantina che avevano ispezionato con Stigazzi qualche ora prima, ma sembrava fossero passati giorni, se non mesi. Era acqua passata. I lampioni erano accesi, e proiettavano una forte luce bianca. Era come accecato da quella luce. Come in un palcoscenico, dove l'attore recita, e non vede il pubblico... E il pubblico, invece, lo vede benissimo. Così si sentiva Pinna, come se lo stessero osservando, dall'alto delle tribune, in silenzio, in attesa della sua messa in scena. Cercò di tenere i nervi sotto controllo. Subito dopo che fu sceso dalla macchina, gli si accostò una berlina grigio perla, coi vetri oscurati. Una macchina di classe, senza ombra di dubbio. Lo sportello posteriore destro si aprì, e scese un uomo in abito scuro, alto, dal portamento elegante.
«Buongiorno, dottor Cadeddu», lo salutò una voce bassa e cupa.
«Suppongo che lei sia il mio contatto», rispose Pinna, con voce sicura. C'era da recitare. E da recitare bene. Altrimenti, il pubblico non avrebbe gradito. E lo spettacolo sarebbe terminato prima del tempo.
«So che si tratta di una questione delicata, se vuole salire in macchina, potremmo parlarne nel mio ufficio», disse il Macellaio.
«Mi sembra un'ottima idea», rispose Pinna.
Ok, via da qui. Il più presto possibile. Se non sono ancora morto, vuol dire che Stigazzi e il Carogna non sono riusciti ad avvisare il Macellaio. Quindi stanno arrivando.
Pinna chiuse la macchina e salì in quella del Macellaio.
«Lo spettacolo ha inizio», pensò. Venne scosso da un brivido lungo la spina dorsale.

«Commissario, questa è la macchina di Cadeddu...» disse a bassa voce il Carogna.
«Maledizione! Si son spostati. E comunque si chiama Tore Pinna, il bastardo figlio di puttana!»
«E adesso... cosa facciamo?» chiese il Carogna.
«Hai idea di dove possano essere diretti?»
«Forse. Forse un'idea ce l'avrei», rispose il Carogna con ghigno beffardo.

domenica 5 aprile 2009

L'ultima volta [10ª PARTE]

Il Macellaio era un uomo senza scrupoli. Giacca e cravatta, portamento elegante, tono di voce basso e profondo. Poteva sembrare proprio una brava persona a chi non avesse la benché minima idea dei suoi "lavori privati". Era fra le vette più alte nella gerarchia del "gruppo". Si occupava in prima persona di tutti gli affari più delicati, dalle trattative con i clienti più importanti, al far sparire prove e testimoni pericolosi. Si raccontavano tante storie su di lui. Si diceva che fosse stato lui in persona a occuparsi dell'Onorevole Mario de Sanctis, un importante politico, accusato di non aver pagato il conto a don Luciano. Era una storia di dieci anni prima. De Sanctis, prima di conoscere don Luciano, non era nessuno. Un sindacalista fallito, che stentava ad arrivare a fine mese tra qualche favore fatto alla persona giusta e qualche bustarella presa qua e là. Poi aveva incontrato don Luciano... Non direttamente, si intende. Avevano trovato un accordo: lui sarebbe entrato in politica, don Luciano gli avrebbe finanziato la campagna elettorale. Per qualche mese i muri della città erano stati tappezzati coi suoi manifesti: "Per una città nuova", "Per un posto più giusto", "Per una nuova rinascita", erano solo alcuni dei suoi slogan elettorali. Sarebbe stato eletto sindaco, e avrebbe dovuto far approvare alcuni piani urbanistici che servivano alle imprese di don Luciano.
Però le cose non erano andate così. Dopo esser stato eletto, de Sanctis aveva rilasciato un'intervista in cui dichiarava di essere vittima di un ricatto, e di aver bisogno di protezione. Diceva di aver ricevuto intimidazioni, da parte di un'associazione di stampo mafioso. Il giorno dopo gli uomini di don Luciano, comandati dal Macellaio, avevano fatto irruzione a casa sua. Dopo aver fatto fuori gli uomini della scorta, lo avevano rapito insieme alla moglie e ai figli. Si racconta che il Macellaio avesse chiesto di rimanere solo con lui. In un vecchio capannone abbandonato, ai bordi della città, il Macellaio aveva sparato prima ai suoi due figli, di 8 e 10 anni, e poi alla moglie. Quindi l'aveva lasciato con i tre cadaveri per tre giorni a marcire nel capannone, senza pane e senza acqua. Dopo tre giorni il Macellaio era tornato. Non si sa bene cosa realmente fosse successo. Si sa solo che dopo alcune ore di urla strazianti, gli uomini di guardia trovarono il corpo di de Sanctis terribilmente mutilato.
Dal giorno la notizia si diffuse a macchia d'olio, crebbe terribilmente la popolarità di don Luciano e sempre più persone avevano terrore di lui e dei suoi uomini.

Il commissario Stigazzi bussò rumorosamente alla porta della stamberga in cui viveva il Carogna. Il taxi con cui era arrivato si era già allontanato.
«Carogna!!», urlò Stigazzi, «Apri questa stramaledetta porta di merdaa!!»
«Chi è?» si sentì da dentro la casa.
«Chi cazzo è? Indovina indovinello? E dajeeeee!»
«Ah Commissario, è lei? Mi scusi», il Carogna aprì la porta, «ma pensavo fosse il signore di prima.»
Stigazzi era fuori di se. «Chi? Chi è arrivato prima?»
«Non so... un tipo... strano... ha detto di chiamarsi... Massimiliano... Cadeddu... mi pare...»
«Era sardo?» disse Stigazzi, mentre il sangue gli si raggelava nelle vene.
«Si! Beh, l'accento non lasciava dubbi. Perché Commissario? C'è qualche problema?»
«Cosa ti ha detto?»
«Niente, parlava di un affare», disse a bassa voce il Carogna, «un affare grosso... Io ho seguito "il manuale", l'ho messo in contatto col Macellaio. Lui deciderà cosa fare... Funziona così, giusto?»
Stigazzi impallidì. Era arrivato in ritardo. Forse Pinna stava già parlando col Macellaio. Cosa gli avrebbe detto?
«Allora, ascoltami bene: quello è un bastardo! Ok? Si chiama Tore Pinna, è un mio collega, vuole fotterci tutti, capito? Sicuramente non è da solo, ci deve essere qualcuno che gli copre le spalle... Ha scoperto alcune cose sul mio conto... sul nostro conto... Vuole fotterci. Capito? Vuole fotterci!! Dobbiamo subito avvisare il Macellaio che potrebbe trattarsi di un'imboscata... Io lo so... che è così... son venuto per dare l'allarme... È un affare molto delicato.»
«E quindi? Cosa facciamo adesso?» Il Carogna aveva un gran mal di testa. Tutta quella faccenda non gli piaceva per niente. Non ci aveva capito molto... Aveva solo capito che probabilmente si era fatto fottere da uno sbirro. E che adesso era nella merda fino al collo.
«Facciamo così», sentenziò Stigazzi, «adesso tu chiami il Macellaio, e gli dici che i lupi sono arrivati nell'ovile, va bene?»
Era un vecchio codice che serviva per comunicare che era in atto un'imboscata.
«Il Macellaio capirà, e, dopo aver chiesto rinforzi, si sbarazzerà di Pinna e della sua eventuale scorta.»
A Stigazzi era tornato il sorriso... O perlomeno quel ghigno beffardo che più che un sorriso sembrava una smorfia. Bene bene bene, pensò Stigazzi, forse riusciamo a risolvere tutto nel giro di un paio d'ore... Pinna imparerà che non si gioca col fuoco...
Il Carogna sollevò la cornetta del telefono. Muto. Capitava spesso che in quella zona ci fossero dei disservizi... O forse qualcuno aveva tagliato la linea.
«Commissario, il telefono non funziona.»
«E stigazziiii!! Usa il cellulare!» rispose a tono Stigazzi.
«Commissario, in questa zona il cellulare non prende.»
Stigazzi smise di sorridere e iniziò realmente ad aver paura.

La prima cosa che avrebbero fatto sarebbe stata chiamare il Macellaio. Pinna questo lo sapeva, e sapeva anche che lì i cellulari non prendevano. Inoltre la centralina della Telecom era a 500 metri dalla casa del Carogna. C'era solo una cosa da fare.
In qualche minuto mise fuori uso le linee dell'intero isolato. Bene, aveva guadagnato un po' di tempo in più. Tempo prezioso. Ora doveva correre verso il luogo d'incontro prestabilito. Avrebbe incontrato il Macellaio.
Il motore aumentò di giri.