venerdì 6 marzo 2009

L'ultima volta [5ª PARTE]

Rimase paralizzato.
Chi cazzo era quello sbirro che aveva tutte quelle informazioni su di lui? E poi don Luciano, l'Innominabile, l'Intoccabile, il Supremo, poteva forse avere contatti diretti con uno sbirro? Probabilmente no. Lui stesso, non l'aveva mai visto, don Luciano. Aveva sempre ricevuto i suoi ordini per via indiretta, e li aveva sempre eseguiti. In maniera impeccabile, altrimenti non sarebbe rimasto vivo fino a quel giorno. Quel giorno in cui aveva sbagliato.
Riguardo a don Luciano non si sapeva granché. Si sapeva solo che era lui a manovrare le redini di mezza Italia. Era lui a muovere le pedine nella scacchiera della politica. Ed era sempre lui che, servendosi di prestanome, aveva costruito un patrimonio immenso, con fondi sparsi in quasi tutte le più importanti banche del mondo. E, per finire, si sapeva anche che don Luciano non perdona. Non puoi sbagliare, quando lavori per don Luciano. E lui aveva sbagliato. Si, aveva decisamente bisogno di una mano.

Il commissario Stigazzi aveva molti più scheletri nell'armadio di quanti ne desse a vedere. Già da tempo aveva preso contatti con don Luciano e da subito aveva capito che se avesse voluto combinare qualcosa, era a lui che avrebbe dovuto rivolgersi. E così era iniziata l'epoca dei testimoni che si suicidavano, degli assolti per "mancanza di prove", delle bustarelle date alle persone giuste al momento giusto. E la sua carriera aveva preso una svolta: in poco tempo era diventato commissario, e tra un affaruccio e l'altro era riuscito a racimolare un bel po' di soldi che aveva coscientemente depositato in una banca svizzera. Prima o poi avrebbe mandato tutti affanculo, e se ne sarebbe andato da quel posto di merda. O almeno così pensava, ogni mattina che si guardava allo specchio radendosi la barba.


«Bravo, metti giù la pistola, che non serve», disse Stigazzi, come se stesse parlando a un bambino capriccioso.
Qualche ora prima, nella vecchia cantina, aveva aspettato che Pinna si distraesse, e furtivamente aveva fatto sparire il portafoglio dalla scena del crimine. Ora lo tirava fuori, e lo sbatteva in faccia all'assassino.
«Sapevo che questa era roba tua. È tuo vero?»
Il killer allungò la mano, e lesto afferrò il portafoglio.
«Anvedi 'sto stronzo!», intercalò Sticazzi, «E adesso, parliamo un po' di affari. Io ti faccio sparire nel nulla. Basterà procurare un cadavere che ti assomigli. Faremo un bel rapporto in cui dichiarerò che hai tirato fuori la pistola, hai sparato all'agente Pinna, e io ho dovuto aprire il fuoco. Per il test del DNA e cazzi vari, ho già persone fidate che se ne potranno occupare. Nessuno ti cercherà più. In cambio voglio due milioni di euro nel mio conto in Svizzera. So che per te non sarà un problema racimolare tutti quei soldi, dopo più di cinque anni che lavori alle dipendenze di don Luciano. Li voglio entro domani pomeriggio. E per essere sicuro che non farai il furbo, sappi che tengo già d'occhio la tua cara Emeline. Cinque uomini di mia fiducia la stanno seguendo giorno e notte. Salvo ordini contrari, alle cinque di domani pomeriggio le faranno saltare le cervella. Quindi, muovi il culo. E non pensare di fottermi. Neanche per scherzo.»

Pinna capiva lentamente il quadro che andava dipingendosi.
Il commissario si becca due milioni di euro, e io muoio. Fine della storia. Su cunnu...
Era sempre stato ligio al dovere. Mai sarebbe contravvenuto agli ordini. Ma, in quel frangente, doveva reagire. E fare qualcosa che nessuno si sarebbe mai aspettato potesse fare. Nemmeno lui.

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